Il 600 ed il Bernini a Castel Gandolfo

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il 600

Mons. Mario Sensi – Professore di Storia della Chiesa antica e medievale

Mario Sensi foto(testo della relazione tenuta al Forum sul restauro della fontana berniniana a Castel Gandolfo)

Il Seicento

Il Seicento si configura come un secolo molto complesso, nel suo insieme è un’epoca di cambiamento a tutti i livelli: politico, economico, sociale, religioso, scientifico, etc.

Epoca di grandi trasformazioni storiche, il secolo XVII registra il passaggio dal mondo dei principati rinascimentali, all’assolutismo monarchico.

Un po’ ovunque trionfano i governi assoluti che rivendicano l’autonomia dello Stato di fronte ai poteri universalistici della Chiesa e dell’Impero. Assolutismo significa che il sovrano è legibus solutus, libero da vincoli legali. Non riconosce più l’autorità imperiale (rex in suo regno est imperator), né ammette in alcun modo nel papa il diritto di sanzionare la legittimità della sua autorità.

giacomo_I._StuartAlcuni sovrani giustificano l’assolutismo in base a teorie teologali intorno all’investitura divina, al diritto divino del re [Carlo Magno e i suoi successori si erano dichiarati re per Grazia di Dio]. La teoria della monarchia di diritto divino trovò il suo più autorevole rappresentante in Giacomo I Stuart (1603-1625) re di Scozia e di Inghilterra, il quale affermò che il sovrano, in quanto imago Dei non doveva rispondere a nessuno dei suoi atti, se non a Dio. La rivoluzione inglese, che culmina con la condanna a morte di Carlo I di Inghilterra (1600-1649), mette definitivamente in crisi l’idea di una origine divina del potere monarchico.

Alle teorie teologali si contrapposero quelle laicali. Thomas Hobbes1024px-Thomas_Hobbes_(portrait) (1588-1679) è il massimo teorico dell’assolutismo di matrice laica. Hobbes muove da un’analisi meccanicistica del comportamento umano, determinato da una serie di impulsi naturali che spingono a considerare bene ciò che giova alla conservazione (utile), male il contrario. Da questo meccanismo elementare derivano tutti gli altri sentimenti. Nell’impulso di impadronirsi di tutto ciò che giova al proprio essere, l’uomo naturale tende ad affermare il proprio diritto su tutto. Per questo l’uomo nello stato di natura non è buono, ma “homo homini lupus”, è “lupo verso l’altro uomo” e vive perennemente in stato di guerra di tutti contro tutti. In questo modo però l’esistenza di ognuno è perennemente minacciata, e vincono i più forti. Per uscire da questa situazione di precarietà, soprattutto a causa dei più deboli, viene stretto il “pactum subiectionis”, un patto in virtù del quale ognuno si spoglia dei propri diritti, dando al sovrano il potere di definire il bene ed il male e di dettare le norme.

Sia le teorie teologali, sia quelle laicali attribuiscono al sovrano un potere assoluto: unico legislatore è il sovrano; esso non è assoggettato alle leggi civili; egli solo può abrogarle. La pace è assicurata solo dall’assolutismo, per cui uno solo comanda e tutti gli altri devono essergli sottomessi. Si giunge al limite con Luigi XIV, il re Sole la cui ambizione non conosceva limiti, il quale ebbe a dichiarare “l’etat c’est moi”, attribuendo così alla persona del re quel carattere di sovranità che noi oggi attribuiamo allo Stato.

Nel 1618 inizia la guerra dei Trent’anni, che vede protagoniste, volta a volta, le grandi potenze europee, l’Impero Germanico, Svezia e Francia. La pace di Westfalia che, nel 1648, mette fine alle sanguinose guerre di religione, sanziona l’egemonia della Francia, la decadenza della Spagna, il dissolvimento del Sacro Romano Impero.

L’accentramento dei poteri nella persona del sovrano era avvenuto mediante la riduzione o l’assorbimento dei privilegi feudali, iniziati con il Sacro Romano Impero,e delle autonomie locali. La feudalità venne svuotata delle sue attribuzioni politiche e compensata o con l’adescamento della vita brillante a corte, o con la riconferma o con l’aumento dei privilegi economici e giurisdizionali sui servi delle terre, abbandonati quasi alla mercè del sovrano stesso.

La nobiltà di sangue –i discendenti da principi, marchesi e conti- nel secolo XVII campeggia ancora al vertice della scala sociale e gli stessi borghesi, che vanno costituendo il nerbo dello Stato si modellano su quanto fa la nobiltà e aspirano a un grado nobiliare che possono conseguire, sia acquistando la terra con annesso il titolo e i privilegi, sia acquistandolo dal re che si attribuisce ormai il diritto di concedere patenti di nobiltà o le concede di fatto a membri dei suoi consigli, ad alti funzionari, o a chi è disposto a pagarle lautamente: è questa la nobiltà di toga che si affianca alla nobiltà di sangue.

san francesco di salesLa frattura tra Chiesa cattolica e Chiesa protestante si stabilizza. Due blocchi si contrappongono e le Chiese devono trovare una nuova collocazione all’interno degli Stati. I cattolici marciano su due binari: la riforma, come movimento interno alla Chiesa e indipendente dalla riforma luterana, e la controriforma, intesa come reazione difensiva contro la riforma protestante. Uno dei campioni è san Francesco di Sales (1567-1622), vescovo di Ginevra, una figura tipicamente moderna che svolse un ruolo importante nella sua attività controriformista cercando di recuperare, attraverso la catechesi e la predicazione, quanti erano passati alle idee di Calvino e Zwinglio; nella sua opera di direttore spirituale ci ha lasciato due capolavori: l’Introduzione alla vita devota (Filotea) e il Trattato sull’amore di Dio (Teotimo); da qui la devozione al Sacro Cuore, la raccomandazione della comunione frequente. Il nuovo stile della sua ascesi consiste nel rendere attraente la devozione: attraente non solo per i religiosi, ma soprattutto per la gente che vive nel mondo, per le persone colte e ricche. Il suo motto era, “Più gioia!”.

In gran parte d’Europa si registra un deciso calo demografico e una contrazione degli scambi e della produzione che determinano una generale situazione di stagnazione economica. Fanno eccezione alcune regioni, come i Paesi Bassi e la Francia settentrionale, dove si assiste a uno straordinario sviluppo del commercio, o come l’Inghilterra dove si espandono le manifatture e si estende il lavoro salariato a discapito della piccola proprietà terriera.

Dal punto di vista sociale v’è “crisi”: nella prima metà del Seicento il forte decremento demografico è accompagnato dalla stagnazione dei prezzi dalla polarizzazione della ricchezza (con grande malcontento degli strati più bassi della popolazione) e da epidemie: celebre la peste del 1630 descritta da Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi. Le condizioni del popolo andavano peggiorando: rurali e servi vennero abbandonati al feudatario o al borghese che gli era succeduto; piccoli proprietari e contadini vennero gravati da tasse. Ovunque si diffondeva la piaga del pauperismo.

A combattere questa piaga furono uomini della tempra di san vincenzo-de-paoliVincenzo de’ Paoli (1581-1660) il quale pose le basi di istituzioni caritative in grande stile, combatté la carestia e diede vita ad ogni forma di assistenza durante la guerra e dopo la guerra (cucine per i profughi e cucine popolari). Egli è il fondatore, nel 1624, dei preti della Missione (lazzaristi), sacerdoti dedicati alle missioni tra il popolo e alla cura spirituale dei carcerati; nel 1633 delle suore di san Vincenzo (dame della carità); mentre, insieme con Luisa Legras, fondò le figlie della Carità, suore a servizio dell’infanzia abbandonata, pronte a rendersi utili nelle case, negli ospizi, negli ospedali.

E’ questo il periodo dei nuovi ordini e congregazioni, soprattutto in Francia. Si pensi al sulpiziani fondati a Parigi da J. J. Olier († 1567) per la riforma del clero; ai trappisti, fondati dall’abate cistercense De Rancé. Ai Fratelli delle Scuole Cristiane, fondati da Giovanni Battista de la Salle, nel 1681.

In questa atmosfera religiosa e culturale trova però posto anche il giansenismo francese, proveniente dal Belgio, un grande movimento di riforma, d’impronta rigorista. Per Giansenio, che estremizza l’idea di s. Agostino sulla predestinazione, l’uomo, dopo il peccato originale, non è più in grado di compiere il bene con le sole sue forze. Solo un numero eletto di persone riesce a salvarsi. Senza la grazia, l’uomo non può volere e fare altro che male; con essa, invece, non può volere e fare altro che bene.

Anche sotto l’aspetto culturale, il Seicento è un secolo assai fecondo. Fino ad allora si riteneva che la Terra fosse al centro dell’universo (modello geocentrico di Tolomeo). Dante, che pure era dotato di conoscenze non banali sul movimento apparente degli astri ed era conscio della sfericità della Terra, nella semplice struttura cosmologica della Divina Commedia aveva posto la Terra stessa al centro dell’universo: l’Inferno si trova così sotto la superficie terrestre, il Purgatorio si trova sulla Terra ma agli antipodi rispetto al Mediterraneo, ed il Paradiso si trova nei cieli: esso comprende la Luna ed i pianeti allora noti (da Mercurio a Saturno) e si estende oltre le stelle fisse, che erano considerate dei semplici punti luminosi stampati sulla “sfera celeste”.

Nel corso del sedicesimo secolo Copernico aveva proposto un modello eliocentrico (in realtà già concepito nell’antichità dall’astronomo Aristarco di Samo), secondo cui il Sole si trovava al centro dell’universo e la Terra era un semplice pianeta che ruotava, come gli altri, intorno al Sole. Il frate e filosofo Giordano Bruno aveva sostenuto tale modello estendendolo a tutte le stelle,  immaginando che esse fossero altri Soli come il nostro e che ciascuna stella fosse il centro di un sistema solare che includeva pianeti abitati: si trattava di una visione modernissima che gli costò la condanna al rogo da parte della Chiesa, anche perché nel suo furore romantico Bruno aveva spiritualizzato tutta la Natura, giungendo ad una sorta di panteismo (tutte le cose sono divine).

Ma è con Galileo Galilei, che nasce la scienza moderna; egli portò prove evidenti della validità del modello eliocentrico grazie alle sue osservazioni col cannocchiale, un nuovo strumento che egli aveva praticamente inventato, o enormemente migliorato. Ad esempio egli scoprì quattro satelliti che orbitavano intorno a Giove, smentendo il principio secondo cui tutto doveva ruotare intorno alla Terra; ed osservò le fasi del pianeta Venere, simili alle fasi lunari, le quali dimostrarono la validità del modello eliocentrico di Copernico a scapito dell’antico modello geocentrico di Tolomeo. Grazie ai suoi esperimenti, Galileo ebbe l’inestimabile merito di creare il metodo sperimentale o metodo scientifico: da un grande numero di prove particolari Galileo traeva delle leggi generali (metodo induttivo), da cui era poi possibile fare previsioni su altri casi particolari (metodo deduttivo).

Ciò univa mirabilmente la sperimentazione empirica, tipica degli ingegneri (ed in questo furono decisive le influenze di Leonardo da Vinci e del filosofo Francis Bacon) con il razionalismo degli antichi greci, che pretendevano di capire tutto con la ragione, senza preoccuparsi di verificare accuratamente le loro affermazioni per mezzo di esperimenti concreti (per questo non raggiunsero in fisica gli stessi risultati straordinari che avevano ottenuto nello studio della geometria). Galileo enunciò i primi principi fondamentali della fisica come il principio di inerzia o il principio di relatività (che tre secoli più tardi verrà generalizzato da Einstein). Nacque così la fisica come scienza vera e propria, in contrapposizione alla fisica di Aristotele, basata solo sui suoi ragionamenti e sulle sue convinzioni.

Il Seicento è il secolo che vide il fiorire dello studio teologico sugli angeli e della devozione verso di essi, e specialmente della devozione all’Angelo Custode: Angeli del Barocco! Dorati e sorridenti che compagnevoli occhieggiano nelle chiese seicentesche. Creati col mondo corporeo, sono però sostanze spirituali e incorporee. Sono innumerevoli; nessuno ne conosce il numero: organizzati in gerarchie e cori sono superiori agli uomini, ma nell’ordine della gloria molti uomini possono essere assunti agli ordini degli angeli. Mentre la Vergine è ascesa sopra ogni coro degli Angeli.

Il Seicento è il secolo del Barocco termine utilizzato dagli storici dell’arte per indicare lo stile dominante del XVII secolo. Il suo significato originario, dallo spagnolo barrueco, irregolare, contorto, grottesco e bizzarro”, è stato ora ampiamente riveduto. Lo stile barocco, succeduto al manierismo della fine del Cinquecento, ha fondamenti negli ultimi anni del XVI secolo, ma nasce a Roma intorno al terzo decennio del Seicento.

Grazie alla sua esuberanza, alla sua teatralità, ai suoi grandiosi effetti e alla magniloquenza profusa su ogni superficie e con ogni materiale, il barocco divenne in brevissimo tempo, lo stile tanto della Chiesa cattolica che delle monarchie europee, tese verso un assolutismo che aveva bisogno di esprimere il proprio potere con tutto il fasto possibile.

Come era già successo nell’epoca del Gotico internazionale, uno stile solo informa quasi tutta l’Europa ed esso diviene la lingua con cui la classe dirigente riscrive la propria storia passata, e traccia le linee per le future, possibili, vittorie.

A Roma il rinnovamento del centro urbano fu per il papato di Urbano VIII prima, di Alessandro VII poi, un’espressione di prestigio: Roma diviene così la prima città che nella sua struttura urbanistica rispecchia il proprio ruolo politico di principale capitale europea. La piazza, un elemento architettonico che già era stato  ripensato in chiave monumentale nel XVI secolo da Michelangelo Buonarroti (con la formidabile risistemazione della piazza del Campidoglio), diviene ora la chiave di ogni rinnovamento. San Pietro in Vaticano con i completamenti berniniani della piazza, piazza Navona con la chiesa di Borromini e la fontana del  Bernini, piazza del Popolo con le sue tre vie (Ripetta, Lata, del Babbuino) e il suo obelisco, diventano i prototipi della nuova idea di città che si irradierà da qui a tutte le grandi capitali europee.

L’arte barocca aveva il compito di toccare direttamente l’animo e i sentimenti della gente e per far questo era necessario che essa assumesse forme grandiose e monumentali.

Il gusto barocco si diffuse però non solo nei paesi cattolici, ma le sue caratteristiche si ritrovano anche nei paesi protestanti.

Caratterizzano lo stile barocco la ricerca del movimento, dell’energia, accentuando l’effetto drammatico delle opere attraverso i forti contrasti di luce e ombra sia delle sculture che delle pitture. Anche in architettura è evidente la ricerca del movimento attraverso superfici curve e ricche di elementi decorativi.

La nostra attenzione è per lo Stato pontificio che nel ‘600 raggiunse la sua unità territoriale con l’annessione nel 1598 di Ferrara, rivendicata da Clemente VIII come feudo della Santa Sede e l’annessione di Urbino nel 1631, con l’estinzione dei Della Rovere. Eppure questo Stato fu uno dei più travagliati dalla malavita e dal banditismo. Il fatto va addebitato non tanto alla situazione economica, fra le migliori dell’Italia del Seicento, quanto alla inquietudine delle nobiltà locali e al carattere composito, quasi caotico della popolazione dell’Urbe la quale nel ‘600 continuò ad esercitare un forte richiamo su ogni sorta di geni, artisti, nobili, finanzieri, diplomatici, avventurieri, ciarlatani…

Il Seicento, nella Roma dei papi, si apre con il giubileo indetto da papa Clemente VIII. In questo come del resto negli altri tre giubilei del secolo XVII prevalse l’elemento decorativo financo sfarzoso e ricco di esteriorità coreografica, proprio dell’epoca barocca. Per l’occasione Roma era divenuta il teatro religioso del mondo dove ai cortei papali facevano bordone quelli delle famiglie nobili, il tutto sullo sfondo delle processioni organizzate per visitare le basiliche romane e le sette Chiese, la pia pratica proposta da san Filippo Neri, una devozione cui non disdegnarono di sottoporsi gli stessi papi, che si compiva in due giorni, percorrendo tredici miglia, la distanza su cui erano dislocate le chiese. Per non dire dei pellegrinaggi organizzati quotidianamente dalle confraternite laicali, con tanto di croci e di stendardi. Lo spettacolo di una religiosità cittadina romana, che toccava emotivamente l’ambito pubblico, divenne ogni giorno più imponente, da attrarre pellegrini penitenti e turisti in genere. L’elemento spettacolo prevale sul nudo aspetto di un anno penitenziale.

Nel primo Seicento Roma contava circa centomila persone. Fu Urbano VIII (Maffeo Barberini), a scegliere Bernini (1598-1680) per realizzare i suoi progetti artistici e architettonici, per dare forma ed espressione alla volontà della Chiesa di rappresentarsi come forza trionfante attraverso delle opere spettacolari, con uno spiccato carattere comunicativo, persuasivo e celebrativo. Doveva essere un’arte che fondeva diverse tipologie: l’architettura, la scultura e l’urbanistica che avevano nel teatro il loro denominatore comune.

Grande la passione dei romani per le acque pubbliche, dagli acquedotti alle terme. Oltre due mila le fontane oggi ornano la città. L’interprete dello spettacolare nuovo habitat fu proprio Gian Lorenzo Bernini abile nel lavorare il marmo conferendogli effetti di tensione drammatica e grande teatralità, ottenuti attraverso i contrasti di chiaroscuro e l’illusione coloristica. Suo merito quello di aver sintetizzato il rigore artistico toscano con la fantasia napoletana fondendo mirabilmente il religioso con il mondano, realizzando così scenografie e opere teatrali molto apprezzate. Universalmente noto è il colonnato di san Pietro, dove l’artista offre al forestiero l’immagine di una Roma, città santa che incanta per religiosità e grandiosità. Non meno affascinante l’estasi di santa Teresa: l’impressione è quella di uno spettacolo teatrale, con nuvole di marmo, un angelo con la freccia e le immagini scolpite degli spettatori che osservano quanto accade.

Il Bernini fu anche progettista di numerose fontane [Fontana dei quattro fiumi (Piazza Navona, Rona); Fontana del Moro (Piazza Navona); Fontana del Tritone (Piazza Barberini); Fontana del Leone (Canale Monterano): Fontana della Barcaccia (Piazza Spagna); Fontana del Bicchierone e cascata della fontana dell’Organo a Villa d’Este (Tivoli); e di Castel Gandolfo (1661)]. Queste sono nate, alcune per l’esigenza di raccogliere acque, onde venire incontro ai bisogni della popolazione e all’abbeveraggio degli animali; altre come mostra terminale di un acquedotto [fontana dell’Acqua felice per acquedotto voluto da Sisto V fu realizzata da Giovanni Fontana nel 1587; fontanone dell’Acqua Paola, mostra terminale dell’acquedotto dell’Acqua Paola, ripristinato da Paolo V, opera, portata a termine tra il 1611-1612]. Da queste tipologie di fontane si è passati alla loro monumentalizzazione, fino a divenire una moda architettonica; un vezzo per nobili e clero altolocato.

Questo è il contesto in cui ha operato Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) il più importante scultore Barocco. Egli è lo scultore che, nel 1661, eseguì la fontana di Castel Gandolfo che ora, grazie agli sponsor, può tornare al suo antico splendore.

La mia e la nostra gratitudine al Rotary che ha preso l’iniziativa di una impresa che richiede, che richiederà sinergie di capacità e professionisti pronti a operare.

A loro il nostro augurio di buon lavoro, grazie.

Mario Sensi

 

castelgandolfo (1) Castel Gandolfo – la nascita

IMG_20140705_120134     La piazza e la fontana

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